lunedì, gennaio 19, 2009

Fuoco purificatore


Sarebbe uno spreco non dare il giusto spazio ad alcuni interventi che, relegati nei commenti, rischiano di passare inosservati. D'ora in poi li riproporremo nella giusta collocazione ,perchè, come più volte abbiamo scritto,questo blog è aperto a tutti coloro che vogliono continuare a pensare autonomamente: ogni contributo, stimolo e sollecitazione in tal senso sono ... stra-graditi!




Risorgere dalle proprie ceneri... arricchiti come un prato dopo che sono state eliminate le erbe secche dell'anno prima con l'azione purificatrice del fuoco. Tanto per rimanere in argomento con le tradizioni popolari del periodo: Sant'Antonio e i suoi falò, gli animali, la cultura contadina. Tutto questo mi appartiene molto, per origine, educazione e istinto (piuttosto animalesco ha...ha...ha!!!).Certo che dobbiamo utilizzare la ragione e il libero arbitrio e non ubbidire ciecamente, certo che dobbiamo interrogarci continuamente sul perchè e sul percome del dolore... ma con la consapevolezza che alcuni interrogativi sulle sue ragioni non troveranno mai risposta nella nostra mente umana, che alcuni dolori saranno lentamente leniti dal tempo e dal processo di rimozione, ma saranno sempre lì, come una discarica coperta dalla neve candida o come una parola d'amore che non abbiamo saputo dire e che ti risuona dentro ravvivando il rimorso per tutte le non-azioni compiute. E a questo stadio a volte è lecito accettare senza più interrogare niente e nessuno.L'accettazione non è sempre rinuncia (e questo dipende anche dalla nostra capacità di vedere i limiti insiti in noi stessi), non è rassegnazione; è piuttosto un punto di partenza per un nuovo viaggio, sono della fondamenta nuove su cui realizzare nuovi progetti, anche più arditi e più complessi di quanto immaginassimo prima di questo nostro processo di accettazione.Ogni persona può essere in continua costruttiva trasformazione, proprio grazie alla capacità di adeguare se stesso alle nuove realtà e di farle proprie, utilizzandole come materiale di costruzione, senza cadere nell'errore di vedervi soltanto macerie inutili, o di rimanere inerte di fronte alla spietatezza di alcune risposte che un ragionamento razionale potrebbe dare a interrogativi di importanza assoluta.Forse la mia indole (animalesca, come ho già detto, quindi non abbastanza imbrigliata dalla razionalità) mi porta a guardare avanti, a guardare dal fondo la luce del sole che da sopra il pelo dell'acqua si intravede ancora; piuttosto che a rendermi conto di quello che ho perso, guardo a quello che posso ancora raggiungere.Sant'Antonio è quindi un po' anche il mio protettore...

Dino

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono completamente d'accordo. Di fronte a certe realtà non si può che prendere atto ed accettarle per quello che sono, non riuscendo a trovare risposte completamente appaganti per la nostre menti umane .Come sottolinei, non si tratta però di rinuncia e nemmeno di rassegnazione che suppongono passività.E' piuttosto un accettare consapevole, attivo, che, anzichè chiudere, spalanca nuove strade, nuovi viaggi e persino nuovi orizzonti.In questo senso la stessa esperienza del dolore può essere recuperata e "trasformata"in qualcosa di positivo. E' dal letame che nasce il fiore, si dice...E' facile parlarne, scriverne: nella vita di tutti i giorni per arrivare a quel traguardo occorre passare attraverso il buio della ragione, ma anche del cuore.Credo consista in questo la lotta interiore che va portata avanti, costi quello che costi, per evitare l'abdicazione che è scelta di non vita.Ciao, Dino!

Anonimo ha detto...

A dir la verità non mi trovo molto a mio agio in questo "ribaltone" di ruoli: solitamente replico, non propongo, ma dato che si sta parlando proprio di accettazione consapevole ed attiva, tanto vale adeguarsi... :-)
Sai,Ser, rileggendo quanto ho scritto io e il commento fatto da te, provo un po' di amarezza nel rendermi conto che i concetti espressi da entrambi possono essere compresi in modo esatto (ed eventualmente condivisi) soltanto dalle persone che hanno davvero toccato il fondo ma conservano ancora quel tanto di vita che impone loro di proseguire.
Chi ha la pancia piena non fruga certo nel bidone dei rifiuti, non ha "la grazia" di vedere che un torsolo di mela può essere ancora cibo.
E, volendo uscire da un riferimento all'esperienza del singolo ed allargare il discorso ad una collettività più o meno ampia, è necessario tener conto che quello che definisci il buio della ragione e del cuore non è vissuto da tutti, pur trovandosi nelle stesse situazioni e vivendo le stesse realtà, e se lo è non lo è da tutti con la stessa intensità o non viene manifestato in un modo comprensibile agli altri... e questo purtroppo comporta quasi sempre dei contrasti, delle chiusure, che alla fine non sono altro che guerre tra poveri.
E' necessario quindi che il buio del cuore non sia totale, altrimenti potrebbe sopravvivere, e nemmeno sempre, soltanto l'amore per se stessi (che secondo me non è vita) e verrebbe annullato l'amore per l'altro da noi, che rimane un cardine insostituibile.
Saluti,
Dino

MELCHISEDEC ha detto...

Saggia la testimonianza di Dino.
Non sempre è facile però proiettarsi verso nuove mete, ma progredire sì, anche nella consapevolezza.