Un interessante documento in dieci punti, “Per una pace definitiva in Medio Oriente”, circola da alcuni giorni in Vaticano e nelle ambasciate. Ne è autore padre Samir Khalil Samir, un gesuita nato in Egitto, vissuto in Libano, professore all’Université Saint Joseph di Beirut, al Pontificio Istituto Orientale di Roma, al Centre de Théologie Sèvres di Parigi e alla Facoltà di Filosofia di Lugano , fondatore e direttore in Libano del Centre de Documentation et de Recherches Arabes Chrétiennes, grande studioso dell’islam e della società islamica.Ecco alcuni stralci.
“Alla fine, Israele non ha raggiunto il suo obiettivo principale, annientare l’Hezbollah, e con esso la resistenza, né ha seminato la discordia tra le differenti confessioni libanesi. In compenso, però, è riuscito a seminare una distruzione duratura nel Libano. Hezbollah afferma di essere il vincitore, e in un certo senso lo è; ma in realtà è destinato a sparire quale milizia. Tutti hanno perso. La guerra non ha mai prodotto frutti duraturi. L’estremismo non si combatte con la guerra, men che meno il presunto “terrorismo”. Tutti i politici riconoscono che occorre “andare alle radici del problema”, il quale risale a più di 50 anni fa. Bisogna necessariamente affrontarlo. Hezbollah, che ha usurpato all’esercito libanese la funzione di difendere la patria, non è la radice del problema: non esisteva neppure quando Israele ha invaso il Libano nel1982 per attaccare i palestinesi che vi si trovavano. Neppure l’attentato contro Israele ai giochi olimpici di Monaco nel 1972, che ha dato inizio al terrorismo nella regione, è la radice del problema. Neppure gli attacchi continui di Israele contro la terra dei palestinesi e contro i paesi vicini sono la radice del problema.”.
A proposito delle origini del problema, finalmente si legge nero su bianco:
”Il problema non è di ordine religioso: tra ebrei e musulmani, o tra ebrei,cristiani e musulmani,anche se è evidente che la dimensione religiosa non è mai assente dalla politica medio-orientale. Non è dunque una guerra tra ebrei (sostenuti dai cristiani) e musulmani. E non è neppure una guerra etnica, tra ebrei e arabi – e chi potrebbe pretendere seriamente che gli ebrei o gli arabi siano realtà etniche? La radice del problema non è dunque né religiosa né etnica; è puramente politica, ed alla politica si aggancia tutto il resto (comprese cultura, sociologia, economia, ecc.) per rafforzare le rispettive posizioni. Il problema risale alla creazione dello stato d’Israele e alla spartizione della Palestina nel 1948 – a seguito della persecuzione organizzata sistematicamente contro gli ebrei, considerati precisamente come una “razza”! – decisa dalle grandi potenze senza tener conto delle popolazioni presenti in questa terra (santa): è questa la causa reale di tutte le guerre che ne sono seguite. Per porre rimedio a una grave ingiustizia commessa in Europa contro un terzo della popolazione ebrea mondiale, la stessa Europa (appoggiata dalle altre nazioni più potenti) ha deciso e commesso una nuova ingiustizia contro la popolazione palestinese, innocente rispetto al martirio degli ebrei. Questa spartizione è in ogni caso un fatto storico, nato da una decisione internazionale. L’esistenza dei due stati, israeliano e palestinese, nei confini fissati dalle Nazioni Unite è una realtà oggettiva e legittima, e non la si può rimettere in questione. Qualunque oltraggio alla legalità internazionale, per quanto questa legalità possa essere discutibile, porta in sé un male più grande ancora di quello contestato. Perciò ogni soluzione del conflitto che non rispetti integralmente la legalità internazionale, cioè le risoluzioni dell’ONU, non può condurre alla pace.”.Ed ecco le 10 proposte per un piano di Pace definitivo: ”Per raggiungere la pace, solo la strada della diplomazia ha qualche probabilità di successo. Questa strada si fonda su due regole complementari: da una parte, la giustizia e il rispetto della legalità internazionale; dall’altra, la necessità di fare alcune concessioni per tenere conto della realtà. Il che presuppone da una parte conoscenza e senso del diritto internazionale; dall’altra flessibilità e discernimento nonché disponibilità a rinunciare ad una parte dei miei diritti a favore dei diritti dell’altro. Aggiungerei un appunto: posto il fatto che da più di mezzo secolo dominano guerra e odio, non esiste una soluzione perfetta; occorre cercare e accettare la meno imperfetta delle soluzioni. Occorre raggiungere una soluzione duratura – anzi, definitiva – della crisi del Medio Oriente, per poter costruire tutti insieme, lentamente, la pace. E forse – se ci è permesso di sognare un po’ – per creare una Unione Medio-Orientale (UMO), così come esiste una Unione Europea (UE), nata essa stessa dalla convinzione dell’inutilità delle continue guerre in Europa, soprattutto tra Francia e Germania. Per raggiungere questo obiettivo, proverei ad indicare una via, nello stesso tempo giusta e realista, che esprimo in questi punti essenziali, un piccolo “decalogo della pace in Medio Oriente”: 1. Creare uno stato palestinese basato sulle frontiere internazionali anteriori alla guerra del 1967; dovranno essere fatte piccole modifiche, purché di comune accordo fra Israele e Palestina. 2. Il “diritto di ritorno” dei palestinesi, riconosciuto dall’ONU nella risoluzione 194 dell’assemblea generale, dovrebbe essere riconosciuto per principio, anche a costo di discuterne l’applicazione, fra il ritorno di un numero limitato di palestinesi e un compenso per gli altri garantito dalla comunità internazionale. 3. Le colonie israeliane potrebbero rimanere per un periodo limitato (per esempio, una decina d’anni) sotto la sovranità israeliana. Successivamente, i coloni dovranno decidere: o ritornare in Israele, o restare sotto la sovranità palestinese, come hanno fatto un tempo i 160.000 palestinesi che hanno deciso di vivere sotto la sovranità israeliana. 4. Riconoscimento ufficiale e scambio di ambasciatori: ciascuno stato del Medio Oriente (compresi Turchia, Iran, Iraq, Siria, ecc.) deve riconoscere ufficialmente come definitive le frontiere degli altri stati, e impegnarsi ad accreditare ambasciatori in questi stati. 5. Istituire una forza internazionale “robusta” laddove la pace non sia stata ancora pienamente acquisita, per controllare anche il traffico delle armi; in particolare tra Israele e Palestina, Israele e Libano, Libano e Siria, Siria e Iraq, Iran e Iraq, Turchia e Iraq. Questa forza dovrebbe essere posta su entrambi i lati delle frontiere internazionali. 6. Aiutare gli stati militarmente deboli a costituire un esercito nazionale sufficientemente forte per assicurare da solo la sicurezza e quindi smilitarizzare tutti i gruppi: milizie o coloni. Allo stesso tempo, operare per la riduzione degli investimenti militari nel Medio Oriente e per controllare gli stati militarmente potenti. 7. Liberare tutti i prigionieri degli altri paesi detenuti in ciascuno stato, mediante accordi di scambio; in particolare tra Israele e Palestina, Israele e Libano, Libano e Siria. 8. Creare una commissione internazionale per risolvere in modo equo il problema dell’acqua nella regione, condizione essenziale per lo sviluppo e causa frequente di conflitti. 9. Creare una commissione internazionale, che comprenda Israele e Palestina, per la città di Gerusalemme, che i due stati desiderano legittimamente assumere come capitale. Si tratta qui di garantire la sicurezza, la libertà di movimento e il rispetto delle frontiere internazionali all’interno della città; ma anche la sacralità, la salvaguardia e l’accessibilità dei Luoghi Santi che sono un patrimonio universale e devono essere protetti da accordi internazionali. 10. Lanciare il progetto di una Unione Medio-Orientale (UMO) tra tutti gli stati della regione, compresi ovviamente Israele, Palestina, Giordania, Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Iran, ecc, se sono decisi a vivere in pace tutti insieme. Porne le fondamenta giuridiche, economiche, politiche, militari e culturali; definire le condizioni per esserne membri; organizzare incontri tra gli stati della regione; proporre un calendario, ecc. Firmare accordi di pace bilaterali o multilaterali per lunghi periodi (da 10 a 20 anni). Per molti punti si potrà approfittare dell’esperienza dell’Unione Europea. “.
La realizzazione del progetto richiede secondo p.Samir una rivoluzione mentale:
“Da più di mezzo secolo i responsabili politici d’Israele e dei paesi arabi non hanno proposto che la violenza ai loro popoli come unica soluzione ai problemi, convincendoli che il diritto e la ragione erano con loro. Occorrerà un lungo lavoro interiore e molto coraggio per cambiare discorso. La guerra non richiede coraggio, la pace sì! La guerra che si è svolta sotto i nostri occhi, con il suo strascico disumano di bestialità e sofferenze, ha consentito a milioni di persone, di tutte le tendenze, di capire che la violenza è inutile, che il Medio Oriente non sarà pacificato dalla guerra. Questa scoperta è forse l’unico bene emerso da questa tragedia, il cui prezzo elevato è stato pagato soprattutto dal popolo libanese, che aveva appena iniziato la ricostruzione. Se da questa tragedia potesse nascere un progetto serio di pace definitiva, allora questo martirio non sarà stato vano!”
Mi pare la proposta più intelligente, sensata, fedele alla storia mai formulata. Sarà presa in considerazione da chi può realmente realizzare la Pace?