Si volesse dare una visione sinottica della realtà, sarebbe una rincorsa persa in partenza tanti sono gli accadimenti che in qualche modo arrivano ad incidere sulla nostra piccola storia. Dalla serie interminabile alla Beautifull delle opoli che ritmano l'evolversi di questa calda estate (calciopoli, raiopoli, exrealopoli, etc) alle guerre, più o meno riconosciute, che insanguinano il villaggio globale e che ormai mietono vittime solo tra la popolazione civile ed inerme, non c'è scampo. Verrebbe proprio voglia di ritirarsi su qualche romito spuntone maremmano (lo so, lo so che non ci sono spuntoni in quella meravigliosa terra, ma solo colli dolcemente degradanti e arsi dal sole, ma lo spuntone rende meglio l'asprezza della realtà!) e da lassù osservare il frenetico ed insensato masochismo umano. Eppure... Eppure abbiamo bisogno gli uni degli altri: siamo animali, ma politici, capaci di esistere solo nella polis, dove si vivono le relazioni che danno senso al nostro stesso essere. Perfino i monaci, a qualsiasi religione appartengano, ritirandosi dal mondo cercano da sempre la perfezione delle relazioni, quella con la divinità, la Bellezza originaria da cui derivano tutte le bellezze del mondo. Non possiamo amare che il bello, canta il teologo della Bellezza che fu Agostino. Senza entrare nella questione se il bello sia tale per se stesso o per il soggetto che ne prova piacere ( in altre parole, se e bello ciò che è bello o è bello ciò che piace), è comunque vero che quando siamo fortemente attratti scatta in noi l'amore che è la risposta naturale alla bellezza. Dell'amore hanno scritto e cantato tutti (persino i poeti maremmani! Niccolino Grassi, i fratelli Benelli Elidio e Francesco, Rossi Elino, Lozzi Umberto, detto Puntura, Bruno Tuccio, Fiori Andrea, Enrico Rustici e Francesco Cellini tanto per citarne alcuni), per cui c'è poco di originale da aggiungere. Tutti esaltano il gioioso stato amoroso, ma cantano anche il dolore che ad esso si accompagna.
Non può essere diversamente anche nell'amore più grande e ricambiato, perchè impegna all'uscita da sè per far spazio all'altro. L'avevano capito i saggi greci che dall'unica radice ag hanno coniato agòn (lotta) e agàpe (amore totale): non c'è amore senza lotta (dentro se stessi), senza sofferenza. Si tratta, a ben vedere, dell'unico male di cui vorremmo ammalarci in modo cronico e persino violento. Perchè è così bello amare ed essere amati... Ben venga il dolore, ben vengano le lacrime quando la ricompensa è poter stare con l'amato/a e, tacendo, lasciare che siano gli occhi a parlare parole d'amore. E' una febbre che genera brividi al solo pensiero, delirio che provoca sogni migliori di qualsiasi acido. La parola, incapace di esprimere il cuore, torna alle lallazioni infantili, ai balbettii timidi che sono la consapevolezza di trovarsi in una realtà esageratamente più grande che va oltre gli stessi protagonisti. E' la sancta inquietudo agostiniana che trova pace e riposo solo nell'amato/i. Sì, santa perchè tutto ciò che realizza e migliora la creatura non può che essere santo, gradito al Creatore. Di qualsiasi amore umano si tratti.
E poi -sembra così ovvio e scontato- camminare insieme in due o, come nel nostro meraviglioso caso in tre, è più facile: le difficoltà sono condivise, le forze raddo-triplicate, la stanchezza ammortizzata, le cadute soccorse, gli errori superati. Insieme. E i sogni... Se fatti insieme non sono più semplici speranze più o meno utopiche, ma l'obiettivo su cui concentrare il proprio impegno. Anche quelli più esagerati, perchè nell'amore non si conoscono mezze misure.
Anche il mal d'amore, come tante altre patologie (da pathos, passione), può essere contagioso, infettivo. Da solo, se strategicamente diffuso, potrebbe forse risolvere i guai dell'umanità. Volendoli risolvere davvero, naturalmente! (S)
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