giovedì, agosto 09, 2007

Farneticando


Mi rendo conto che il termine “normale” evoca fantasmi negativi e si presta a diverse declinazioni . Può avere un significato puramente statistico, indicando la maggior frequenza di un certo evento o, meglio, l’attesa che un certo evento si realizzi: le convenzioni sociali si fondano sull’aspettativa che gli altri individui si comportino nel modo da noi considerato normale. Può sottendere connotazioni non riconducibili ai comportamenti che di fatto hanno luogo, ma a quelli che dovrebbero verificarsi. E' normale ciò che dovrebbe regolare la condotta naturalmente, ma capita che il significato, riguardante il dovere (morale o religioso o sociale), si mascheri spesso nel concetto di normalità, col risultato che la distinzione tra normale e anormale finisce per nascondere il riferimento a criteri di valore che condizionano poi il giudizio di esclusione sociale per alcuni.
La nostra società fatica a riconoscere la possibilità dell’amore fuori dalla tradizionale coppia maschio/femmina, al più tollera come stati di fatto i comportamenti omosessuali che vengono giudicati devianti dalla norma, purchè però non pretendano di assurgere a qualcosa di più dello sfogo puramente animalesco, a qualcosa cioè di anche solo vagamente riconducibile all’amore. Una volta dimostrato, come è stato, che l’omosessualità (e non solo il comportamento omosessuale) è secondo natura, appare evidente che il freno alla sua accettazione sociale è imputabile direttamente alla tradizione culturale che per secoli, sulla spinta di considerazioni religiose, politiche e morali, ha consolidato la sua idea di normalità, oggi messa in discussione dallo sviluppo del sapere . Non sono quindi strane le resistenze dei settori più conservatori della società, specie di quelli abituati, per necessità di conservazione del potere, alla lungimiranza politica: la crisi culturale della coppia eterosessuale preconizza la possibile deriva della famiglia tradizionale, cioè dello strumento privilegiato del controllo sociale.Una volta definito il problema da affrontare che è di natura culturale con implicazioni valoriali religiose, sia pure di uso strumentale, appare abbastanza chiara la strategia da adottare per la sua soluzione, che non potrà essere di breve scadenza dal momento che qualsiasi processo culturale richiede tempi adeguati di assimilazione e sedimentazione. Il lento processo di normalizzazione (che è poi di integrazione) non può che prevedere un verosimile adeguamento dei comportamenti alla morale comune, superando nella prassi quell’euforia libertina un po' caratterizzante i gruppi discriminati, che finirebbe coll’esacerbare l’opposizione già stretta all'angolo. La parola d’ordine dovrebbe essere tranquillizzare. Non è impresa impossibile perché per natura noi,omo, siamo accomodanti, amanti del quieto vivere e alla continua ricerca delle rassicuranti normalità. Lo dimostra anche solo il fatto che non abbiamo ancora tracciato, pur avendone avuto il tempo, un modello di coppia omo che non sia riferito al confortante modello etero (ora un po’ in crisi di suo), pur radicalmente diverso. Lo sappiamo bene noi, troppia, che da quando esistiamo dobbiamo fare i conti con una mentalità che fatica ad accettare un autentico amore fuori dai canoni della tradizionale coppia.Ma di questo abbiamo già scritto. Il riconoscimento dell’amore maschio/maschio e femmina/femmina come non meno dignitoso del tradizionale maschio/femmina, al quale deve essere equiparato in tutto, anche nei diritti, comincerà col "rompere" una delle tante certezze culturali senza però avere il desiderato effetto trascinamento per lo sdoganamento (brutto termine, ma di moda)di altre realtà diverse e possibili nell'esperienza umana. Il risultato sarà comunque dirompente e i gerarchi cattolici lo hanno ben intuito. Pazienza, un passo alla volta.

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