giovedì, settembre 25, 2008

Via tutto


Verrebbe voglia ognitanto di liberarsi di tutti i pesi e le zavorre che rallentano la vita, che ci distraggono da ciò che amiamo veramente e danno gusto alla quotidianità. Spesso non si può: non ci si disfa dei tumori con un tocco di bacchetta magica, lo stesso vale per le mafie, i politici corrotti, le macro ingiustizie mondiali e tutto quanto ci rovina vigliaccamente l'esistenza. Ma non ci rassegnamo e nemmeno ci rifugiamo nel sereno privato facendo finta che tutto vada bene solo perchè noi stiamo bene. E' vero però che avendo una famiglia- e la nostra è una famiglia- in cui ci si ama e si condividono realtà belle e brutte, diventa più facile, o almeno meno faticoso, non cedere di fronte alla sfrontatezza del male. L'unione fa la forza, come si dice. Essere troppia attutisce, non evita, i colpi bassi della vita e ... degli uomini che sono ancora peggio. L'amore non produce magie, ma offre anche nelle peggiori situazioni una visione comunque positiva, consentendo di intravedere "sempre il sole al di là delle nuvole" (saggezza proverbiale dell'India). Non si tratta di una pia illusione: l'esperienza concreta dell'amore disvela le straordinarie ricchezze dell'uomo rafforzando la fiducia nella possibilità del cambiamento, della sua redenzione. Anche nel peggiore dei casi. Forse questo discorso risulta più comprensibile ai cristiani che credono in un Dio che si è fatto crocifiggere per affermare la sua fiducia nell'uomo, nella sua possibilità di redenzione appunto, ma non è prerogativa e patrimonio solo loro. E' la conoscenza (sperimentale) dell'amore che indirizza in tal senso. Lo confermano storicamente tutte le religioni che, non è un caso, pongono proprio l'amore alla base del loro credo. Ovviamente poi ci sono i limiti che sono umani come le stesse religioni.

Malattia mortale, angoscia e disperazione sono il pane di Søren Kierkegaard che però arriva alla "sua" certezza: "Se mi fosse tolto tutto conserverei comunque sempre la cosa migliore: lo stupore beato e salutare dell'amore infinito di Dio". Come a dire che l'esperienza dell'amore una volta vissuta non può essere cancellata da alcuna disgrazia, per quanto grande sia. E' l'unica cosa che resta una volta spogliati di tutto.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Nulla ti Turbi, nulla ti rattristi, tutto passa, solo Dio Resta! S. Teresa D'Avila

un abbraccio, Dav

Ulisse ha detto...

Amore e religione quasi mai vanno di pari passo, anzi spesso la religione e l'amore sono agli antipodi nonostante appunto tutte le religioni parlino di amore. Il fatto è che l'amore di cui parlano forse noi non l'abbiamo ancora capito o forse per noi è troppo grande da capire, capita così di trovare persone religiosissime che non sanno cosa significa amare e persone che sanno amare ma che di religione non ne vogliono nemmeno sentire parlare. A dire il vero è quasi sempre così, perchè le religioni si prestano troppo all'esteriorità, alla rappresentazione della religione piuttosto che all'essenza della religione, che è necessariamente una cosa intima e non pubblica. Essere religiosi non significa andare a messa tutte le domeniche, quello è solo fariseismo, essere religiosi significa aprire il cuore agli altri e può essere molto più vicino a Dio un ateo che ama piuttosto di chi è sempre ai primi posti davanti all'altare ma poi quando esce si scorda il significato di amore.

MELCHISEDEC ha detto...

E' da ieri che leggo il post. E' una perla, ma non mi va di esprimere ciò che sento dal profondo a livello "strettamente biografico-sentimentale". Sarebbe un rovinarla.
Invece un dato è certo: la descrizione che fai della vostra famiglia si avverte che è autentica e vera. Chi sperimenta l'amore di una famiglia comprende che è così come dici.E questo io sono in grado di affermarlo.
:-)

Anonimo ha detto...

Hai detto cose condivisibili, Ulisse, e vorrei aggiungere qualche mia osservazione.
Secondo me si dovrebbe distinguere tra religione, cioè l'essenza di quello che è il legame (ed anche la sua ricerca) tra l'individuo e un'entità ritenuta superiore - il Dio -, e religiosità che invece è il modo di manifestare la religione, e dipende da ciò che il singolo ha compreso di questo rapporto uomo - Dio, dalla sua maturità e dal suo grado di dipendenza psicologica e gerarchica dalla Chiesa.
Non si deve essere troppo severi nei confronti di chi forse non ha ancora compreso fino in fondo il "Messaggio" oppure non trova la forza morale sufficiente a rendersi indipendente dalla Chiesa, a volte esistono dei freni inibitori che impediscono al credente di saltare lo steccato e correre libero su un prato che non ha più i limiti tradizionali.
D'altra parte molte persone (io per primo) spesso non conoscono i testi sacri se non in modo molto superficiale, e tendono a criticare l'interpretazione che ne viene data da altri...
Forse il problema più grande sta nel fatto che ci si pone di fronte alla religione con un atteggiamento prevenuto, poco aperto all'altro da noi... a volte poco aperto anche ad ascoltare ciò che Dio dice direttamente ad ognuno di noi (io ero così) o a volte attraverso le persone che ci fa incontrare, e in fondo questo è già un disconoscere il senso profondo del concetto di "Amore" che come dice Ser è l'essenza di ogni religione e dovrebbe esserlo anche di ogni uomo, credente o ateo che sia.
Questo è solo il mio parere, che deriva dalla mia esperienza di vita e dalla mia ricerca di dare un senso e non un'immagine a questo Amore.
Saluti a tutti,
Dino

Anonimo ha detto...

Ho toccato solo di sfuggita la questione delle religioni perchè altro era l'argomento che mi stava a cuore. Dino però ha colto esattamente il mio pensiero: una cosa è il rapporto uomo-Dio, altra è la sua istituzionalizzazione, la sua storicizzazione che, per forza di cose, soffre i limiti tipicamente umani. La stessa cultura che è necessariamente, per sua stessa definizione, in continua evoluzione può rappresentare uno di questi limiti. Non sarei però così pessimista, Uli: la differenza tra "il dire ed il fare" resta, ma alla Chiesa cattolica va dato atto di essere stata sempre la prima ad intervenire concretamente a favore dell'uomo.Penso, per es., alle iniziative del XIX sec a favore di quanti erano condannati ad uno stato di subumanità e Cottolengo diede loro dignità umana a pieno titolo.Penso ai tanti discorsi della gerarchia contro i profilattici per prevenire l'hiv, ma anche al suo essere da subito in prima fila a soccorrere fattivamente i malati attraverso le prime comunità di accoglienza specifiche. Prima di ogni altra associazione umanitaria o statale del mondo.Certo sono contraddizioni, ma fanno parte dell' umanità.La crescita culturale chiede secoli e a volte è persino rallentata dalle chiese.C'è stato un tempo in cui le teologie si interrogavano "se il negro avesse l'anima". Era la stessa cultura dominante a dubitarne.Il problema è stato risolto con grande beneficio della cultura stessa, ma restano strascichi di cui facciamo fatica a liberarci anche nella società "secolarizzata"di oggi.Un ultimo es. di filosofia del linguaggio: solo da noi, in Italia, il termine "negro" è ritenuto offensivo e viene usato solo allo scopo di offendere.I "benpensanti"l'hanno ovviamente cancellato dal loro linguaggio. In realtà , al di là di una sorta di perbenismo linguistico, sono completamente disinteressati a quanto succede agli immigrati nel nostro Paese e alla loro stessa cultura. Saprebbero altrimenti che "negro" non è offensivo, derivando direttamente dal latino, e che addiruttura "Negritudine" è il nome di una delle più interessanti correnti di pensiero africano contemporaneo.Come a dire che tutti noi, non solo gli uomini di chiesa, spesso diamo più importanza alla forma che alla sostanza.

Anonimo ha detto...

Non si puo' che essere conconrdi con cio che dice Dino, non ho voluto dilungarmi molto l'altro giorno per miei problemi personali, quel Dio Basta, di Teresa non e' un punto di arrivo un "luogo" di stasi, ma un punto di partenza, Dio basta, quando spogliato di te stesso ti decidi per Lui.
Ma e' proprio lo spoglirsi di se stessi, il far emergergere l'oltre, che e' complicato, e spesso si scontra con il nostro limite di essere uomo.
L'incarnazione, essere di carne e' un dono meraviglioso a tal punto che anche Dio, diede carne a suo figlio, Cristo, perche' fosse uomo.
Sull'umanita' di Cristo si dovrebbe parlare di piu', ma qui mi preme dire ad Ulisse che l'essere uomo di un sacerdote, di un religioso o religiosa puo' rappresentare un limite e non un dono nella loro risposta alla vocazione.
Dio e' amore, non confondiamo Dio, amore religione e Chiesa, popolo di Dio con gli uomini che restano tali anche quando diventano suoi ministri o si pongono in particolare sequela di Cristo, riscoprendo magari che l'essere battezzati ci rende conresponsabili e non passivi spettatori nella Chiesa.
Guardiamo oltre guardiamo A DIO!
Dav