"Bella sta cosa di lasciare la firma.All'atto pratico non serve a niente, ma sta a significare che noi ricordiamo e vogliamo continuare a farlo. La mafia è contro tutti noi perciò vogliamo l'Italia libera.", scriveva ieri a commento del post che ricordava la strage di Capaci Stefano da Milano. Aveva dato il via Francesco, il nostro amico lampedusano, probabilmente senza immaginare che altri 10 lettori lo avrebbero seguito. Tra gli altri, Salvo, che in poche parole ha raccontato la sua realtà, così distante e difficile da immaginare per noi. Siamo soddisfatti che dei nostri 14 visitatori quotidiani, ben 11 abbiano voluto testimoniare col loro passaggio la volontà di ricordare. Lampedusa, Vercelli, Cosenza,Roma, Legnano, Latina, Padova, Milano, Palermo e Como naturalmente, rappresentata da noi tre novios, sono Italia. Un'Italia in cui possono cambiare i governi, ma che sembra rimanere sempre uguale, coi soliti problemi, le solite piaghe infette, purulente, mai definitivamente guarite. Criminalità organizzate, nazionali ed estere, corruzione, concussione, collusione, evasione, povertà, immigrazione, morti bianche, diritti calpestati e via dicendo. Tutto questo in una delle 8 nazioni più ricche al mondo. Come può essere?
Forse col vecchio sistema mai caduto in disuso: "Divide et impera!", Dividi e governa: Nord contro Sud, Italiani contro immigrati, poveri contro ricchi, ladri contro onesti, etero contro omosessuali, lavoratori contro pensionati, giovani contro vecchi, bianchi contro grigi, neri contro rossi. Il Paese è uno solo, un piccolo villaggio del mondo globale, ma fatichiamo a farcene una ragione ed ognuno, da solo,in gruppo o in corporazione, porta avanti la sua solitaria lotta contro tutti.
Le mafie (tutte) sono nel nord dalla fine degli anni '50, hanno scalato la Borsa, sono ormai nell'alta Finanza e con la loro economia malata stanno contagiando ciò che è rimasto di sano. Si tratta però di una presenza discreta, ormai perfettamente integrata nell' efficiente sistema settentrionale. Non è opprimente, devastante come al Sud. Può quindi continuare ad estendere il proprio dominio, come il polipo i suoi tentacoli, stringendo patti e cartelli con le criminalità internazionali già presenti sul territorio. Ce ne accorgiamo solo quando interi quartieri delle nostre città non ci appartengono più. Le mafie sì che hanno capito: è l'unità che fa forza, crea potere.
E noi, indifferenti a ciò che non ci riguarda da vicino, non sappiamo vedere più in là del nostro campanile. Se non suonasse troppo retorico lancerei l'invito a spalancare porte e finestre sul mondo per vedere non solo bellezze di cui possiamo godere nei nostri tour vacanzieri, ma soprattutto realtà con le quali dobbiamo necessariamente fare i conti, per poter risolvere quelli che a prima vista sembrano essere solo problemi locali. Beh, ormai l'ho fatto: al diavolo la paura della retorica.
Non c'è più un "prima" e un "dopo", "prima pensiamo a noi e dopo agli altri". C'è piuttosto un'esigenza di priorità dei problemi da risolvere.
E' strategicamente perdente pretendere di affrontare i diritti degli omosessuali senza affrontare contemporaneamente i diritti elementari dei poveri, dei pensionati, degli immigrati, delle donne, degli onesti. Tutti insieme si deve lottare per i diritti elementari di tutti. Impariamo dalle mafie: l'unione fa la forza. E poi, come dice giustamente Francesco, continuiamo a credere che alla fine il bene trionferà sul male: senza speranza, sostenuta dalla ragione, non si può vivere.
1 commento:
E' triste, ma sembra che vada proprio così il gioco dei politici. Mafia e politica hanno troppo in comune.
angelo da como
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