Ultimo giorno di maggio, il mese mariano, di Maria, la Madonna . Tutte le sere, profumate di meravigliosa primavera, c’era, e forse c’è ancora, la pratica del tradizionale rosario, appuntamento quasi obbligato nei piccoli paesi. Mi vengono in mente i ricordi del nostro amico Pep. Risalgono a pochi anni dopo la guerra, la seconda, negli anni ’50. Prima il rosario e poi le prime avventure amorose in mezzo al fieno del primo taglio che, per chi lo ricorda, ha un profumo estasiante, forse anche perché carico di nostalgia. La sola luce era quella della luna che volentieri accettava il contributo delle piccole lucciole, a quei tempi, sottolinea il racconto, davvero tante.
Nessuno scandalo. Le stesse figlie di Maria, quelle che in processione vestivano di bianco cintate d’azzurro, godevano ovunque fama di grande disponibilità. Chissà perché la vergine Maria, campione e modello di castità secondo la predicazione tradizionale, ha sempre avuto tra le più devote seguaci le più disinvolte tra le ragazze del paese? Beh, anche tra i ragazzi, stando alla memoria di Pep. Riesco persino ad immaginarlo, piccolo ometto (Pepinetto appunto) in ginocchio in prima fila, mentre risponde cantilenante alle “Ave” del severo parroco, perso sicuramente in mistici pensieri, ma ogni tanto scosso da improvvisi, violenti brividi, preludio del “dopo”.
C’è una specie di continuità naturale: dal sacro rito che incontra il divino all’altrettanto sacro incontro con l’umano. Non è una bestemmia, non è dissacrante. Rappresenta forse il completamento, l’integrazione, la totalità dell’esperienza che un giovane uomo vive, senza tanti scrupoli e sensi di colpa, proprio nel mese di maggio, sotto lo sguardo complice e benevolo, come solo una mamma può, di Maria.
Non è certo questo che aveva in mente il sommo poeta mentre pensava alla Theotokos, ma anche lui non era credente tranquillo, passivamente sottomesso alla boriosa autorità gerarchica che pare sempre saperne più di Dio stesso. Così comincia S.Bernardo-Dante:
Nessuno scandalo. Le stesse figlie di Maria, quelle che in processione vestivano di bianco cintate d’azzurro, godevano ovunque fama di grande disponibilità. Chissà perché la vergine Maria, campione e modello di castità secondo la predicazione tradizionale, ha sempre avuto tra le più devote seguaci le più disinvolte tra le ragazze del paese? Beh, anche tra i ragazzi, stando alla memoria di Pep. Riesco persino ad immaginarlo, piccolo ometto (Pepinetto appunto) in ginocchio in prima fila, mentre risponde cantilenante alle “Ave” del severo parroco, perso sicuramente in mistici pensieri, ma ogni tanto scosso da improvvisi, violenti brividi, preludio del “dopo”.
C’è una specie di continuità naturale: dal sacro rito che incontra il divino all’altrettanto sacro incontro con l’umano. Non è una bestemmia, non è dissacrante. Rappresenta forse il completamento, l’integrazione, la totalità dell’esperienza che un giovane uomo vive, senza tanti scrupoli e sensi di colpa, proprio nel mese di maggio, sotto lo sguardo complice e benevolo, come solo una mamma può, di Maria.
Non è certo questo che aveva in mente il sommo poeta mentre pensava alla Theotokos, ma anche lui non era credente tranquillo, passivamente sottomesso alla boriosa autorità gerarchica che pare sempre saperne più di Dio stesso. Così comincia S.Bernardo-Dante:
"Vergine Madre, figlia del tuo figlio, /umile e alta più che creatura/termine fisso d’etterno consiglio,/tu se’ colei che l’umana natura/nobilitasti sì che il suo fattore/non disdegnò di farsi sua fattura./..."
Paradiso, Canto XXXIII
Paradiso, Canto XXXIII