L'altro giorno esprimendo l' opinione personale dal mero punto di vista teoretico sul discorso di Ratzingher a Ratisbona, mi è capitato di riflettere ancora una volta sul significato di cultura. Mi tornava in mente l' insistenza di Falcone, Borsellino e Caponnetto (e tanti altri magistrati e grandi uomini naturalmente) sulla necessità di fare cultura nelle scuole, nella società civile, ovunque, per vincere la pseudo-cultura mafiosa radicata ormai nella maggioranza degli italiani. Quella pseudo-cultura che oppone il cittadino allo Stato considerato nemico da cui difendersi, che è poi la stessa convinzione che ha permesso la nascita e lo sviluppo delle mafie nei territori in cui lo Stato era ed è latitante.
A scuola spesso la cultura è ridotta a conoscenza e conservazione del patrimonio dei saperi del passato e questo diventa non raramente motivo di disaffezione per i giovani studenti costretti ad imparare qualcosa considerato morto, superato. E' invece espressa nell'etimologia del termine (dal latino cultus da colere =coltivare) l'idea di azione, movimento, novità. Altro che conservazione, sepoltura! Il patrimonio del passato, riconosciuto prezioso, nel momento in cui entra in contatto con gli uomini del presente, cioè con gli studenti , diventa qualcosa di assolutamente nuovo perchè attualizzato attraverso la mediazione dei docenti. La scuola è perciò laboratorio culturale, luogo di coltivazione/educazione/ crescita. Lo è lo stesso scambio tra generazioni diverse, tra persone diverse che incontrandosi e dialogando arrivano necessariamente ad una qualche mediazione. Cosa rende allora difficile se non impossibile il dialogo tra culture diverse, religioni diverse, orientamenti politici, sessuali diversi etc? Penso immediatamente due possibilità: la non volontà di coltivare (crescere, sviluppare, fare cioè cultura) e la non abitudine all'uso della ragione, ricorrendo troppo frequentemente alle certezze acquisite del patrimonio personale o familiare, popolare etc. Il facile indottrinamento dei media, TV in testa, può far breccia millevolte più incisivamente nella testa dello studente che un anno intero di dotte lezioni del miglior professore sulla piazza. L'indottrinamento acritico, del tutto distinto dalla ragionevolezza, induce il convinto (da cum-vincere) ad aggrapparsi a ciò che appare forte, deciso, sicuro. Il rischio è oggi più forte che mai, tempo postmoderno uscito dalle crisi ideologiche e dal fallimento dei totalitarismi del secolo scorso. Incapaci di orientarsi nelle incertezze e nebbie di questo inizio secolo, sembra più semplice affidarsi appunto non a chi ha delle ragioni da offrire, ma a chi ha delle forti certezze da esibire ed imporre (anche con la violenza, fisica o psicologica). Troppo facile indicare nei fanatismi religiosi di ogni tipo l'esempio lampante di ciò: in realtà ogni forma di rifiuto al dialogo e all'incontro con l'altro (che è sempre diverso) è rinunciare alla ragione, alla straordinaria possibilità di fare cultura e quindi di crescere.
Mi chiedo se io riuscirei a riconoscere l' eventuale bontà di un ipotetico discorso "secondo ragione" del cavaliere plastificato di cui non ho alcuna stima, anzi... Beh, per fortuna il problema non mi si porrà mai nella realtà, resta però il fatto che la stima verso l'altro è indispensabile perchè si cerchi/accetti il confronto. Ma a proposito del "valore" dell'altro ho già scritto lo scorso 19 agosto...
Mi chiedo se io riuscirei a riconoscere l' eventuale bontà di un ipotetico discorso "secondo ragione" del cavaliere plastificato di cui non ho alcuna stima, anzi... Beh, per fortuna il problema non mi si porrà mai nella realtà, resta però il fatto che la stima verso l'altro è indispensabile perchè si cerchi/accetti il confronto. Ma a proposito del "valore" dell'altro ho già scritto lo scorso 19 agosto...
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